giovedì 10 settembre 2015

Il Bibliotecario

Il treno, l'ambulanza e le campane della Chiesa. Non si poteva dire certo che fosse musica per le sue orecchie.
Come ogni giorno, posizionava un sassolino dentro la scarpa. Solitamente quella destra. Gli piaceva avere qualcosa che lo tenesse sempre desto e quel fastidio continuo al piede quando lanciava la gamba avanti e poggiava la suola sull'asfalto contribuiva molto al risveglio giornaliero. In realtà non è che provasse piacere a farsi del male, nessuna forma di masochismo o cose del genere, assolutamente, ma non sopportava i sognatori. Non che lui non lo fosse sia chiaro, ma non amava i sognatori che non avevano i piedi per terra. Vi sembrerà un controsenso. Peró i veri sognatori hanno un piede sempre appoggiato e un altro alzato come per saltare. E lui si aiutava con il sassolino. Ognuno ha i suoi metodi.
Chi la puntina sotto la sedia.
Altri le testate contro il muro.
Altri ancora la doccia con l'acqua fredda.
Lui il sassolino nella scarpa. Non c'era nulla di male.
E infatti lui non era un comune sognatore, di quelli che si incontrano di continuo negli aeroporti o nelle stazioni ferroviarie. Troppo semplice e anche abbastanza scontato direte voi. Troverete tutto il mio appoggio di fatti.
Dico sognatore non nella norma perché erano 68 anni e 3 giorni che lui non si muoveva da quella cittadina a cui un barbone non avrebbe dato un dollaro. Erano anche 68 anni anni in cui ogni singolo giorno lui aveva sognato; con un piede qua, appoggiato per terra dove sto calpestando io ora, e l'altro un poco rialzato. E con un sassolino dentro la scarpa destra.
Ogni giorno si presentava alla stessa ora, puntuale, davanti alla porta del grande edificio. Era l'esempio vivente di come l'ordinario si mescolasse con lo straordinario senza lasciarne traccia : ogni giorno era talmente diverso dal precedente o dal successivo che non si annoiava mai. Per questo avrebbe voluto iniziare il lavoro qualche minuto prima, ma l'educazione gli imponeva di presentarsi all'ora indicata.
Saliva la rampa di scale. Tredici gradini. L'ultimo gli sembrava sempre più corto degli altri. Si riprometteva che lo avrebbe misurato con il metro, ma se ne scordava puntualmente ogni singolo giorno.
Si posizionava dietro il bancone. Seduto ovviamente. E in realtà non c'è molto altro da raccontare perchè prestava libri. Era un bibliotecario. Il vero problema è che non ne aveva mai prestato uno. Era da quando aveva 21 anni, da quando aveva iniziato quel meraviglioso lavoro, che non aveva mai dato via un libro. Aveva sempre fatto sì che chiunque entrasse in quella biblioteca ne uscisse a mani vuote. Non che non sapesse fare bene il suo lavoro, sia chiaro. È che lui li amava i libri.
Come ci si innamora delle ragazze ecco, lui si era innamorato delle pagine. E le conosceva tutte, dalla prima all'ultima. Senza alcuna preferenza, erano tutte belle.
E mettetevi nei suoi panni per un solo istante : quando qualcuno varcava la soglia lui lo vedeva proprio come un affronto, come se gli stessero per rubare ciò che lui amava, ciò che lui con il tempo aveva imparato ad amare più di chiunque altro.
E si presentavano lì al bancone, timidi e impacciati sussurravano il nome del libro che lui aveva già aveva riconosciuto da quando lo avevano osato prendere in mano. E si inventava ogni giorno una storia diversa per convincerli che quello era un libro di poco conto.
"Guardi la copertina come è rovinata insomma!" diceva.
E se ne usciva anche con frasi del tipo " Questo dovremmo toglierlo dagli scaffali, anzi ora lo faccio".
E in un modo o nell'altro nessuno lo aveva mai battuto.
Ogni giorno una storia diversa si inventava, d'altra parte avendo letto tutti quei libri la fantasia certo non gli veniva a mancare. Li faceva tutti fessi.
Poi era entrato lui. Sembrava già fesso solo dalla faccia, se lo avesse anche fatto fesso lo avrebbe reso uno scherzo della natura.
Insomma era un ragazzo. E andò dritto verso un libro, lo prese in maniera decisa come se avesse già studiato quel momento tempo addietro.
E lo aprì. Sorrise. Uno di quelli buoni.
Di quei sorrisi che scappano senza volerlo e quasi non ci si riconosce.
Portó il libro al bancone e il bibliotecario non seppe dire nulla. Nessuna storia, nessuna copertina rovinata, nessuno sbaglio o cose simili. Lo lasció andare.
E in un attimo si rese conto che non aveva mai pensato che qualcun altro potesse amare ciò che amava lui allo stesso suo modo, con la stessa intensità. Non ci aveva mai riflettuto.
Ed era più felice ora che ci pensava. Non era il senso di condivisione buonista, che spesso ci rende tristi; no, non era affatto quello. Ma forse il fatto che si era reso conto di appartenere a qualcosa.
E ora, solo ora, si rese conto di cosa parlasse Fitzgerlad quando diceva: "Questa è la parte più bella della letteratura: scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni".
Aveva vissuto una vita solo.
Aveva amato, ma nel modo sbagliato.
E mai come quel giorno aveva amato i libri così tanto.
Ora apparteneva.

autore: Sebastiano Colaluce

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