domenica 29 maggio 2016

Sophie

A Sophie piace Parigi. Mi correggo, Sophie ama Parigi, ma non è francese.
No, Sophie ha tutta l' aria di essere una ragazza di Kansas City, ma chissà da dove diavolo viene.
Sophie chiede di andare via, in continuazione. Io ci provo a starle dietro.
Viaggiamo solo con il sole, quando fa caldo. Mi piace guardarla con la luce. Inizia a darle fastidio e io rido, si vedesse quanto è bella.
Dorme. La notte dorme e io faccio il possibile in modo che lei vada avanti a tenere gli occhi chiusi. Scrivo poesie al buio e lei nemmeno lo sa. Tedesco, francese, spagnolo, portoghese, italiano, inglese fa lo stesso. No? Devo dirle che sarà immortale, che importanza ha che lingua uso?
Non lo sa che scrivo. Perché dovrebbe?
Un giorno quando mi dirà che vorrà dormire da sola, senza compagnia, le darò le poesie e tutte le parole che ho scritto e le dirò "Mentre dormivi.."
Secondo me non sarà stupita, Sophie per queste cose non ci resta secca come le altre. Sophie è diversa. E' curiosa e non lo dà a vedere.
Cammina come se qualcuno la stesse rincorrendo, forse il tempo, forse gli sguardi attenti della gente.
Perché a lei alla fine questa vita piace. Potrebbe anche non esserci la poesia ecco, forse nemmeno il teatro, il cinema, addirittura la musica, e a lei la vita piacerebbe lo stesso. Ma alla fine la poesia esiste se c'è la vita, è una conseguenza. E' quasi matematica la questione.
Va in giro con un cappello che le nasconde le parti del viso che vanno immaginate, lei segue sempre la regola secondo la quale l'ignoto è sempre e comunque più affascinante del già visto e già sentito.
Alle volte se ne esce con domande strane e ti chiedi se stia bene o se stia recitando. Ma la verità è che Sophie è una vita che recita. E' anche una vita che non sta bene. Ma udite udite l'ossimoro: lei se la spassa quando si accorge di recitare e di non stare troppo bene. Com'era per Shakespeare? Ah sì ecco, tutto il mondo come un grande palco e noi.. sì, già, noi dei grandi attori.
Niente male Sophie. Alle volte recita così bene che persino io finisco per crederle e darle retta.
In tram e in treno non si vuole mai sedere, al contrario, io devo sempre stare attento che non scenda perché non si sa mai. Alle volte mi dico che un giorno in cui sarò un po' distratto la perderò per sempre. Sarebbe sicuramente strano non rincorrerla più; non saprei a che fermata scendere.
Mentre cammina dice sempre che qualcuno dovrebbe scrivere una canzone per lei, oppure che dovrebbero fare un film sulla sua vita. Che vorrebbe vedersi camminare per strada intendo. Io non le dico niente delle poesie, perché con le canzoni e i film è diverso. Bisogna fermarsi e stare in silenzio. E poi le poesie non sono così immediate; si pensa di averle dimenticate, ma poi tornano come le stagioni. Uno non se lo aspetta e si trova in bocca delle parole che non sa proprio da dove provengano.
L'altra notte si è sdraiata sul letto più stanca del solito.
Mi sono seduto di fianco al suo corpo, senza far rumore, con la penna e una pila di fogli.
Ho scritto solamente "Sophie" e mi chiedevo cosa facesse rima con quel nome. Cosa facesse rima con quel corpo stanco. Con quelle sei lettere che facevano tanto pensare.
Che diavolo serve scrivere delle poesie mentre lei dorme, mi chiedevo. Cosa caspita serve?
Forse a costruire dei ponti. Forse a dipingere quando non si hanno i colori, a suonare qualche nota quando non hai lo strumento. A costruire ponti insomma.
- Domani a Parigi? - sussurra in dormiveglia.
- Domani a Parigi Sophie, domani a Parigi -

Scrivo sul foglio:
Sophie
Parigi

Magari in un altro mondo. Magari in un altro mondo la rima c'è.

giovedì 26 maggio 2016

L' oceano nella mia stanza


Forse sei tu che mi vieni a trovare, forse nemmeno lo so chi sei. So che quando arrivi così senza avvisare mi prende una grande nostalgia, che se sapessi nuotare inizierei a farlo. Nuoterei. Come fai tu, che negli occhi hai sempre le navi, negli occhi hai dipinto l'oceano. Perché ferma non riesci davvero a stare. 

Sei tu questa. Ha lavorato la mia memoria per ripristinare anche solo qualche particolare raccolto in passato che sembra lontano, il resto l'ho lasciato alla mia fantasia; però sei tu, che mi vieni a trovare. Sei tu. Con quel sorriso di malinconia e io ti dico "torna", ma non è tempo. E tu sei già in viaggio.
Sei tu. Sei tu quando parti.



- Mi dica, dove va? -

- Vado -

- Su questo nessun dubbio signorina, ma parte o ritorna? -

- ... Parto -

- Ne è sicura? - 

- Ritorno. -

- Si decida, parte o ritorna? -

- Entrambe. E' sempre così difficile scegliere. Quando si parte si lascia tutto, quando si ritorna ci si lascia alle spalle il resto. -

- E lei ha scelto per il tutto o per il resto? -

- Se ci fosse la possibilità di un via di mezzo io avrei scelto quella. Se si potesse partire e tornare insieme. Invece no, qualcosa si perde sempre -

- Mi dica, cosa ha paura di perdere? - 

Silenzio

- Non lo sa? Non sa cosa non vorrebbe perdere?

Silenzio 

- Il tutto. Il resto. La vita. Ho paura di perdere questo. In ordine ho paura di perdere: il tutto, il resto e la vita. -

- Capisco -

- No-

- Cosa no? -

- No, lei mi dispiace ma non capisce. Non può capire. -

- E perché mai non dovrei  capire? -

- Perché lei non ha gli occhi -

Ride

- Gli occhi? Questa è davvero bella. Venti anni di onorato servizio e una cosa così non l'avevo mai sentita! -

- Parlo degli occhi veri. Quelli con cui si guarda il mondo, il mondo in maniera sempre nuova. Gli occhi che fanno innamorare le persone. Gli occhi a cui pensa lei, a cui pensano tutti, alla lunga stancano. Ma questi occhi, di cui le parlo io, sono eterni. Fanno un male tremendo, come una spina o una ferita sempre aperta, ma sono veri. -

Lei li aveva, è per quello che ne poteva parlare.

Se ne era andata. Non si sapeva bene se fosse partita o tornata, ma era di nuovo in viaggio.
Faceva male pensarla in viaggio, ma che bene al cuore che faceva invece pensare a quegli occhi.

Aveva lasciato un biglietto che diceva all'incirca così: 


"Se le chiedono se sono viva, lei non dica nulla. Lei faccia finta di niente, come se niente fosse. La prego. Se le dovessero domandare dove mi trovo, lei risponda che non c'è posto per me, non c'è posto alcuno; dica loro che nemmeno le ceneri mi vogliono, che il mare non mi inghiotte e la terra non mi vuole masticare. Non c'è morte per me, non c'è riposo, non c'è un bosco dove mi senta al sicuro. Sono in eterna partenza e costante ritorno; sono la nuvola che vola sopra la testa delle persone per bene. 
Di notte tengo sveglie le persone delle mie spiagge e di giorno distribuisco speranze che annegano nel mare ( è questione di fuso orario)."

martedì 3 maggio 2016

7 di Aprile

Tra cinque ore sarebbe successo qualcosa. Cinque ore, non un minuto in più, non un minuto di meno.
Lo sentiva. E se non fosse successo qualcosa lo avrebbe fatto accadere lui.
Era salito un caldo insopportabile nella stanza dell'albergo in cui da qualche giorno dormiva. Gli capitava di guardare quegli oggetti, quel letto, che vedeva da poche ore, come se da sempre gli appartenessero. Non capita forse anche a voi? Non vi capita di impossessarvi degli oggetti nuovi alla vista, delle frasi pronunciate per sbaglio, degli errori commessi con senno e portare tutto questo nel vostro cuore estraendolo all'occorrenza in tempi meni sospetti e forse lontani? Sono sicuro capiti anche a voi. Gli capitava frequentemente. D'altra parte si era abituato a viaggiare e a spostarsi da un posto ad un altro da quando la moglie non era più tornata a casa quel 7 Aprile, che Dio lo elimini dai giorni in cui l'umanità si è svegliata! Che Dio si dimentichi di quel 7 Aprile così insipido, così maledetto. L'aveva cercata ovunque: aveva guardato in cucina, poi in dispensa, in soggiorno e con passo più celere e cuore affrettato nell'attico; si era fermato a riflettere e il sette Aprile avrebbe dovuto essere uno di quei giorni in cui sua moglie finiva presto di lavorare. Che si fosse fermata a comprare qualcosa? L'aveva aspettata qualche ora, ma niente. Se ne era andata. Nemmeno un biglietto? Neppure una riga, neanche un saluto. E poi si sente dire che non esiste più la cavalleria. Sarà anche vero, ma non si lascia una persona così. Soprattutto un uomo. Le donne sanno soffrire, ci sono abituate, ma gli uomini sono una frana in queste cose. Non si fa così, sarebbe bastata una riga "Ciao me ne vado, non sono andata a fare la spesa". Ecco, così sarebbe stato lecito. Invece l'aveva aspettata qualche ora e poi aveva ricominciato a cercarla, magari non aveva controllato bene. No. Aveva guardato con attenzione invece.
Aveva appoggiato la testa fra le mani. Aveva pianto. Poi le mani le aveva messe sul volante della macchina e non si era più fermato. Era come se gli avessero tolto la terra da sotto i piedi. Non una terra qualsiasi, la sua terra. Sua moglie aveva portato via lo spazzolino, il dentifricio, una borsa, qualche vestito e la sua terra. Fa male quando ti portano via la strada su cui dovresti camminare, la strada su cui sei stato abituato a camminare. Perché a cinquant'anni non ti ci abitui più. Hai imparato a vivere con una donna ed è troppo tardi per abituarsi ad altri occhi, a braccia diverse. Il profumo. Vogliamo parlare del profumo? Alle volte gli sembrava di sentirlo in giro, ma era come un lampo che subito scompariva lasciando non solo l'odore delle cose grigie e comuni, ma anche una tristezza abissale, più profonda dell'odio e del mare.
Gli aveva portato via tutta la terra e lui aveva provato ad abituarcisi, ma cinquant'anni sono troppi. A diciannove si fa ancora in tempo sì, ma a cinquanta no. E' metà di un secolo vi rendete conto? E' un'assurdità. Sono troppi cinquant'anni per abituarsi.
Era salito un caldo tremendo nella sua stanza e si era sbottonato la camicia. Era sceso e aveva consegnato le chiavi a chi di dovere. Si era infilato in uno di quei locali di cui ci si fida già dall'insegna. Fuori era scritto così "Un drink  gratis per ogni delusione amorosa o di qualsivoglia genere". 
Sapeva già entrando che non sarebbe uscito con le sue gambe da quel posto.
Dopo la decima delusione aveva iniziato a urlare e dare fastidio, e lo avevano sbattuto fuori.
Aveva provato a rientrare sostenendo che avesse ancora qualche migliaia di delusioni da smaltire, ma lo avevano avvertito che se avesse continuato avrebbero chiamato la polizia.
Se ne era andato, non era mai  stato un tipo coraggioso.
Voleva solo la sua terra, voleva il suo dannato letto e la sua casa. E magari una riga con scritto "Sono tornata, ho fatto la spesa. Ti amo."
Al diavolo. L'unica cosa che gli era rimasta era la puzza di fumo che si attacca ai vestiti, alla pelle e alla gola. La puzza di fumo se ne va quando merda vuole lei. Aveva persino finito le sigarette, che vita spietata.
Sarà stato per eccesso di delusioni , per la  terra scomparsa o per la moglie o forse per il caldo che si  era mescolato all'alcool nelle sue vene, ma morì sul letto della sua stanza il 7 Aprile di quello  stesso anno. Morì da solo, come muoiono tutti in questo mondo.
Ma la sua  rivincita se la era presa. Sul cuscino un biglietto che diceva così: "Che Dio ci scampi da giorni come il 7 Aprile. Che Dio se lo dimentichi questo maledettissimo giorno."
P.s  Al diavolo la tua spesa.