mercoledì 24 febbraio 2016

Scendo dal treno. Ti porto una lettera e ti dico di partire

Partivo quel giorno ed ero già in viaggio. 
Faceva un gran caldo e la signora che stava proprio di fronte a me in treno continuava a muoversi in modo fastidioso, sia per me che per lei. 
Mi piace sedermi solitamente sul sedile di fianco al finestrino e guardare le rotaie: osservare la strada che faccio e la storia che mi lascio alle spalle.
Leggevo, ed ogni tanto alzavo lo sguardo, distratto dal rumore dei vagoni che cercavano di procedere tutti assieme, come fossero un gregge. Indispettito dai movimenti di quella signora impaziente che avrei strangolato volentieri con le mie mani, se non fosse stato per quei suoi due occhi.
Due occhi. Erano blu. Quel blu del mare che fa paura, del mare dove c'è solo lui e il suo blu. 
In un attimo ripensai a quella ragazza che avevo conosciuto tempo addietro, prima l'avevo vista e poi le avevo parlato. Non capita sempre così, spesso è il contrario: prima si parla con le persone e poi le si vede bene. 
Io invece l'avevo solo vista bene, perché a parlare non ero davvero un granché, facevo una gran fatica a guardarle in faccia le persone e nemmeno facevo apposta, ma proprio non riuscivo e mi dispiaceva. 
Aveva proprio quegli occhi blu, del cielo prima che mandi la pioggia a secchiate. 
Non aveva solo il blu negli occhi, ma anche un tremendo dolore. 
Sì, d'accordo, la vita non è rose e fiori per nessuno (tranne per quelli che le rose e i fiori li vendono da mattina a sera), ma a lei la vita aveva fatto davvero un gran male. Sono quei mali che cammini per la strada e la gente  non li capisce. Stai seduto per delle ore e il mondo non capisce. Ascolti una musica bella, una poesia ben scritta e dovresti essere felice, ma non lo sei, almeno non come dovresti, perché quel grande dolore te lo porti sempre appresso, come al guinzaglio, e il mondo non capisce.
Sono quei dolori che ti ritrovi a piangere anche quando non dovresti e lei, mondoboia, di lacrime ne aveva fatte uscire da quegli occhi cristallini! Ma dopo un po' si era stancata e persino le lacrime si erano stufate di tutto quel via vai e di tutte quelle discese, e si erano fermate. Questo era il motivo del blu: tante lacrime tutte in poco spazio.
Avevo chiuso il libro senza nemmeno accorgermi. Una cosa mi stupiva in quei giorni, una cosa meravigliosa a cui non avevo mai dato grande importanza: il libro tu lo chiudi e la storia rimane lì; i personaggi si fermano e tutto rimane immobile. Quanti attimi interrotti, quante disgrazie non concluse e amori non ancora dichiarati! Mi divertivo a pensare al povero Don Chisciotte, per alcuni, ancora incastrato nelle pale del mulino, alla bella Giulietta non ancora morta e alla vita di quegli uomini prima dell'arrivo di Innocent Smith, prima di quel gran vento di novità.
Avevo chiuso il libro e avevo interrotto tutto senza nemmeno essere dispiaciuto.
Pensavo a lei e al suo dolore, al blu, al mare. Mi dicevo che è così per tutti, ma per lei in modo diverso.
Iniziavo a costruire dialoghi con lei nella mia testa e le spiegavo che doveva pensare alle barche : anche loro hanno un gran dolore. Quando il pescatore arriva in porto, dopo giorni di delusioni e bestemmie, decide di fermarsi un poco sulla terra ferma e lascia andare l'ancora. 
Una gran sofferenza l'ancora per una barca, non trovi? E' un po' come il tuo dolore. Ti tira giù, nel mare nero dove non vuoi andare. Ci provi a liberarti, ma puoi solo aspettare. Attendere che il pescatore si decida a tirarla su e ripartire.
Un gran dolore l'ancora, no?
Non si può dire che sia del tutto inutile, però alle volte sarebbe meglio se non ci fosse.
Pensavo alle barche, ai pescatori e ai suoi capelli. 
Erano rossi, ma ognuno di essi disegnava parte dell'autunno.
Realizzavo solo in quell'istante che tutta quella ragazza era una sinfonia di stagioni: i capelli come le foglie di ottobre e di novembre, gli occhi il mare salato dell'estate, il suo sorriso come la rinascita che porta con sé la primavera. Il suo dolore. Il suo dolore: il gelo dell'inverno che non risparmia nulla.

-E finalmente siamo arrivati!- esclamò la signora.
- Non ne potevo più di questo caldo, l'aria condizionata in questi treni non si sa nemmeno cosa sia!-
aggiunse.
Io non davo cenni di risposta e pensavo ancora alle stagioni e ai loro dolori e ai pescatori e alle ancore e ..
- I libri non si chiudono così diamine!- disse sollevandone la copertina.
- A maggior ragione i libri belli così. Lo ha finito?- chiese.
-No, non sono nemmeno arrivato alla metà- biascicai.
- Lo legga, lo legga! Lo finisca, è una gran bella storia quella!- suggerì alzandosi soddisfatta dal suo posto.
-Lo farò. Lo farò senz'altro.-

Scendendo dal treno, facendo quei pochi gradini che forse nemmeno esistono, ripensavo a lei. E al mio libro. Volevo tornare a casa e leggere, riaprire il libro e leggerlo fino ad arrivare alla parola FINE. Perché le storie non si lasciano mica a metà. Don Chisciotte sarà scomodo appeso sul mulino, no? Giulietta no, ma questa è un'altra storia.
Scendevo dal treno e pensavo a lei e le dicevo che questo è il tempo in cui il pescatore ritorna e ritira l'ancora, è il tempo in cui si salpa e forse non si attraccherà più. Sapendo che l'ancora è lì dietro, ma che c'è un mare da esplorare, una vita che chiama.
E' proprio una gran bella cosa questa faccenda che le storie si possono riaprire ovunque, persino in mezzo alla gente o quando si scendono i gradini, e tutto ricomincia a muoversi e la barca ritira l'ancora e parte.
Ero felice. Non erano più tanto scuri quegli occhi.




martedì 16 febbraio 2016

Se è per lei, non è furto

Se è proprio vero che l'occasione rende l'uomo ladro, beh, lui quella mattina era senza ombra di dubbio il re dei briganti. Aveva rubato una di quelle cassette di fragole che il fruttivendolo prima di mettere fuori per i clienti guarda ed esita un poco trattenendo la mano, domandandosi se non sia meglio portarla a casa dalla moglie, al posto delle rose. Il colore è lo stesso e le rose non si possono nemmeno mangiare; non si spende una lira e la moglie è felice almeno quanto basta per non litigare.
In ogni caso lui era stato decisamente più furbo e lesto; la cassetta il fruttivendolo poche ore prima aveva deciso di venderla e, quando tutti si facevano i loro affari, lui aveva preso con le mani le fragole, la cassetta, l'occasione e il ladro. Aveva fatto un affare insomma.
Ma non erano per lui, sia chiaro. Non era assolutamente uno di quei ragazzini che va in giro a rubare agli altri per sé. La cassetta era per Adele e questo faceva sì che la sue piccole rapine non intaccassero minimamente la sua coscienza. Era puro e bianco come il bucato della mamma, quello appena steso, e ci pensava come se mai avesse avuto una mamma. Il mondo in qualche modo e in qualche osteria malfamata di quartiere lo aveva fatto nascere. Il mondo gli permetteva di mangiare. Ed era sempre il mondo, vigliacco oppure no, a fargli pensare a quel maledetto bucato che non aveva mai visto. Per dirla tutta nemmeno la mamma l'aveva mai vista, però aveva capito  che la mamma era un po' come il bucato: lui non ne aveva esperienza, ma per sentito dire sapeva che da qualche parte, non lontano, esistevano le mamme e i bucati.
Camminava di buona lena stando attento a non dare scossoni al cestino per non ammaccare la frutta; se qualcuno si fosse messo dall'altra parte della strada a chiedere ad ognuno dei passanti cosa secondo loro stesse portando quel ragazzino, credo che nessuno sarebbe stato in grado di indovinare.
Alcuni avrebbero azzardato un signor vino di qualche annata strepitosa, ora mai dimenticata.
Altri qualche strano gioiello dal nome curioso che per le orecchie di quel giovanotto avrebbero potuto essere dei nomi di fantasia, come i bucati e le mamme varie. 
Nossignori, portava una cassetta di fragole che valeva più di tutto il vino di questo mondo. Perché quando uno è innamorato per bene, le cose dell'altro, ovvero la persona per cui venderebbe la vita, le tratta meglio che può; meglio ancora di quando ha premura delle sue. Tutto diventa un dono che non deve essere ammaccato. Dai capelli che siano maledetti se non sono in ordine, alle stringhe e le calze pulite. Tutto un dono. E si fa fatica ad amare, diamine! E' proprio un bell'impegno. Ma il bello non è solo l' impegno, ma il fatto che la fatica ripaga e uno si riscopre ladro di cose che non avrebbe mai rubato prima.
Portava le fragole insomma, perché Adele amava le fragole. 
Appena arrivato sotto casa Moore, che stava tra la villa degli Evans e quella dei Peterson, aveva raccolto uno di quei sassolini che sono messi agli angoli delle strade appositamente per i ragazzi che devono importunare le belle ragazze, e aveva iniziato a fare il suo sporco mestiere. La grazia certamente non era nelle sue corde, ma la mira si può dire che fosse buona. Al primo colpo. Come sempre. La finestra e tutto il resto, con le consuete imprecazioni.

- Mamma dice che un giorno o l'altro ti farà sbattere in prigione se rompi la finestra con i tuoi sassolini!- lo aveva rimproverato Adele uscendo sul balcone. 
- E galera sia!- aveva risposto lui con il suo solito modo di dire le cose, il modo della strada e dell' osteria.
C'erano stati poi quei dieci secondi in cui ognuno formulava nella mente e recitava ripetendo le frasi che mai avrebbe detto per bene, un po' per l'emozione, un po' perché in fondo siamo tutti pessimi attori.
- Ti ho p..-
- Ce ne andiamo- lo aveva interrotto lei, senza lasciargli spazio.
- Come? - e aveva deglutito con quel rumore che provoca sempre una vergogna istantanea e terribile.
- Le cose si sono messe male qui e papà sta perdendo un sacco di soldi; questioni di affari, ma io sono piccola e queste cose non me le vogliono spiegare-
- Ma poi tornate vero? Quando le cose si sistemano intendo.. Tornate? -
- Non credo. Da come parlava papà questa mattina sembra non ci voglia proprio più mettere piede qua. -
- Non c'è modo di cambiare le cose? - 
- E come cambiare? -
- Non lo so. Di solito per strada le persone che incontro io mi dicono sempre che c'è un modo per fare ogni cosa; credo sia solo questione di trovare il modo giusto -
- Tu non puoi capire. Quando mio padre decide una cosa, è così per sempre. E' come se ogni volta si aggiungesse un comandamento ai dieci di base che valgono per tutti -
- Caspita tu devi avere una lista di comandamenti che non finisce più! - aveva risposto lui, che di comandamenti ne aveva solamente due: sopravvivi anche oggi e cerca di non metterti nei guai.
Erano stati in silenzio qualche minuto studiandosi a vicenda. Adele si spostava i capelli dagli occhi quasi a ritmo del vento. C'erano dei grandi sbuffi alternati a momenti di pace quasi solenne.
La pace era fuori certo, ma nel cuore di lui si combatteva la più feroce delle guerre. Adele se ne andava. Era come se stesse per perdere la città. Se ne andava e portava con lei il suo cuore, il cuore di lui, la cassetta, le fragole, i sassolini e ogni minuto di desiderio sincero.
- Ma io ti ho preso le fragole. Una cassetta intera! Neanche una rovinata, le ho controllate io - disse lui con quell'innocenza con cui  si spera di mettere le cose al loro giusto posto, tipica di quell'età. 
- Le ho prese questa mattina e ho fatto anche una gran fila, questo lo puoi dire a tuo padre!- aggiunse lui dimostrando a sé stesso che nemmeno le bugie gli logoravano la coscienza.
- Sei davvero gentile, ma le fragole non faranno cambiare idea a papà -
- E la fila? La fila lo farà ? -
- Nemmeno la fila credo. -
Era brutto quando nelle loro conversazioni le parole diminuivano gradualmente. Era come se qualcosa stesse per morire, come se si stessero per salutare. Ma solitamente si salutavo per poi riparlarsi dopo qualche ora, al massimo dei giorni. Lui si presentava lì sotto casa Moore senza preavviso, prendeva uno dei sassolini che gentilmente il suo amico spazzino faceva finta di non vedere e centrava la finestra. Ma oggi no, si salutavano per sempre. 
Sempre.
Sempre. Sono  convinto che se si mettesse questa parola su una bilancia a due braccia, si sentirebbe all'istante quel rumore di quando le cose pesano troppo, di quando si è sbagliato qualche calcolo; qualunque sia l'oggetto posato sull'altro piatto.
Le cose  erano sempre andate così. Perché dovevano cambiare ora? Forse è proprio vero che le cose belle non possono durare troppo. La delusione nel perderle farebbe troppo male. 

- Adele! Tra cinque minuti si parte!- l'ultimo comandamento. Il più terribile e funesto. 
-Devo andare.. - disse lei con un filo di voce.
- Tieni le fragole, ho fatto molta fila - disse lui porgendogliele in punta di piedi.
- E' proprio un bel rosso, le hai scelte proprio bene. - 
Le parole stranamente crescevano nella loro conversazione.
- Adele! E' ora! - tuonò il padre, pensando di essere qualche dio potente di cui in realtà era schiavo.
- E' ora - disse lei con un filo di voce. 
E voltandosi chiuse la finestra e lui non la rivide più.

Ora, questa storia, potrebbe finire in mille modi diversi: potrei dirvi che lui se ne tornò indietro con qualche lacrima dispettosa che gli rigava il viso, potrei dirvi che lui, al contrario, non fece una piega e che rimase lì impalato, come se stesse per essere fucilato e giustiziato; potrei usare quella dannata fantasia e raccontarvi che, maledetto lui, ogni giorno da quel giorno in avanti rubò una cassetta e con estrema cura la portava sotto casa Moore e la posava ai piedi del balcone, dove lei si affacciava una volta. Dove lei, Adele, apriva la finestra dopo il suono potente del sassolino che faceva centro. 
E potrei aggiungere che corse calciando ogni maledetto sasso sulla via, imprecando contro il Dio dell'amore o il Dio di Adele. Ma questa sera la fantasia la farò usare a voi. 
Vi dirò solo questo: a lui, le fragole, nemmeno piacevano.


domenica 7 febbraio 2016

Una promessa

Le onde si susseguivano dividendosi la spiaggia con un gioco di scrosci e gorgoglii, alternando rincorse e spinte a retrocessioni vergognose ed obbligate. Il mare di notte fa meno paura che di giorno, al contrario di quanto si crede. Ha qualcosa di perpetuo e di vergine che viene violato ogni volta quando sorge il sole e quando questo irrompe prepotente nella vita mondana.
Né io né Eveline avevamo chiuso occhio quella notte. Alle quattro aveva deciso di smetterla di fingere che andasse tutto bene e si era rotolata nel letto verso di me portandosi dietro le coperte e mi aveva detto: "Manca poco. Iniziamo a prepararci".
Alcuni minuti dopo ci eravamo trovati sdraiati a pochi metri da dove le onde finivano di allungarsi. Lei aveva appoggiato la testa sul mio petto; era una cosa che non avrei mai sopportato se fosse stata fatta da chiunque altro, ma Eveline era diversa. Avevo sempre accettato anche le cose che non mi andavano di lei. Perché qualche anno prima ci eravamo fatti una promessa, più grande di ogni singola cosa di lei che io ritenevo fuori posto, piccola o grande che fosse.
Lei mi aveva detto: "Me lo prometti?" e io le avevo risposto di sì. Cos'altro avrei potuto risponderle? Poi lo avevo chiesto io di promettere, e anche lei aveva risposto così.
L'avevo guardata e le avevo domandato preoccupato: "E' per sempre?"
"Certo che è per sempre. O è per sempre o non è. Non trovi?" aveva detto lei.
"Con le promesse funziona così. Quelle sincere e pronunciate con un filo di voce sono come un'eco di un bisbiglio nel cuore di un uomo. Un'eco che porta con sé la parola 'sempre', dalla quale forse nemmeno la morte lo può separare" aveva aggiunto.
Questo mi stupiva di lei: parlava poco, o almeno il giusto, ma quando lo faceva le sue frasi erano sempre così lapidarie che nulla avrebbe potuto cancellarle dalla mia memoria. Ma non era solo questo. Quando uscivano dalla sua bocca sembravano essere così naturali, come se qualcuno tempo addietro le avesse scritte sulle sue labbra screpolate, che lei le pronunciava con un filo di voce, senza nessuno sforzo. Come se niente fosse, e invece erano praticamente tutto.

Ed ora eravamo distesi sulla spiaggia. La sera prima avevamo avuto una discussione che era sfociata in una rabbia feroce. Ci eravamo infilati nel letto senza nemmeno metterci d'accordo su chi dovesse spegnere la luce. Siamo due orgogliosi. La luce è stata accesa per tre ore, ma non ci infastidiva. Ci pesava molto di più quel metro di letto che ci divideva e che eravamo stati noi stessi ad aver scavato. E' così quando si è orgogliosi: si scava la buca, ci si lamenta della terra fuori posto e si passa il tempo a guardarci dentro.
Ero assorto nei miei pensieri quando Eve si era alzata per spegnere la luce.

Ora eravamo distesi sulla spiaggia.
Lei sempre appoggiata e io sempre assorto.
Era chiaro che la spiaggia fosse solo per noi, erano le quattro passate.
Le quattro di notte. O le quattro di mattina.
Era per questo che eravamo sulla spiaggia; per decidere se quella fosse ancora parte del buio o se invece fosse già cosa del giorno.
Eve muoveva i piedi nella sabbia, alzando, quasi ciclicamente, il destro carico di granelli aggrappati alla sua pelle morbida e chiara.
Mancava poco, ma Eve era troppo concentrata ad ascoltare il mio cuore scandire il tempo.
Mancava poco, non si poteva più indugiare.
C'è un momento che non so bene da dove provenga di preciso e a chi appartenga insomma. E' un attimo così veloce che solo i cuori e gli occhi attenti riescono a cogliere.
Se si guarda bene verso l'oceano, dove sembra che tutto finisca, dove le barche vengono inghiottite e la vista si sforza ma non riesce ad andare oltre, esiste un tempo che non appartiene né alla notte né al giorno. Quel momento in cui il buio si fa da parte e la luce tarda a prevalere.
Fu proprio un attimo. Più veloce di un soffio o di un sospiro. Ancora più di uno sparo o di un pensiero. Però io lo vidi per davvero e nessuno poteva affermare il contrario.
"Eve" dissi con un filo di voce.
Continuava a giocare con la sabbia e non diceva nulla.
"Lo hai visto anche tu Eveline?"
Non mi rispondeva.
Siamo rimasti in silenzio qualche minuto e poi lei ha abbozzato un sorriso, come se fosse una prova, come se stesse disegnando la bozza con la matita.
Mi sembra di ricordare che disse più o meno questo: "Noi siamo così. Siamo  esattamente come quel punto che sta tra la notte e il giorno. Se lo spartiscono il buio e la luce, ma nessuno può dire con certezza ' è solo mio'. Siamo così se ci pensi bene. Poche ore fa a letto, nonostante l'abat-jour fosse accesa, eravamo entrambi della notte.
Possiamo essere divisi alle volte, ti potrà sempre dar fastidio che io appoggi la testa sul tuo petto e potrai non sopportare il fatto che io non sappia cucinare, ma non sarà questo l'importante.
Quando sorridi siamo del giorno, eccome se lo siamo.
Ma nessuno potrà mai dire 'loro sono solo del giorno o solo della notte'. Nessuno. Perché saremo sempre un po' in mezzo tra questi due. Sai cosa invece ci fa essere quel momento? Quell'attimo che non è di nessuno se non di chi l'ha creato? Quella promessa.
Quella promessa che tu hai fatto a me e che io ho fatto a te qualche anno fa.
Vuoi sapere perché sorridevo prima?
Perché stavo ascoltando il rumore delle onde, quando si infrangono e poi cambiano idea e fuggono con la coda tra le gambe. Stavo ascoltando e mi sembrava ci fossero solo loro.
Poi ci ha raggiunti un'eco che portava sulle spalle la parola 'sempre'. Noi siamo così".
Non le ho risposto. Cosa diavolo avrei dovuto risponderle? Aveva lo strano dono di zittirmi senza dirmelo.
Le ho dato un bacio in fronte e ci siamo incamminati verso casa, con la tremenda voglia di dormire, inseguiti da una promessa.