domenica 7 febbraio 2016

Una promessa

Le onde si susseguivano dividendosi la spiaggia con un gioco di scrosci e gorgoglii, alternando rincorse e spinte a retrocessioni vergognose ed obbligate. Il mare di notte fa meno paura che di giorno, al contrario di quanto si crede. Ha qualcosa di perpetuo e di vergine che viene violato ogni volta quando sorge il sole e quando questo irrompe prepotente nella vita mondana.
Né io né Eveline avevamo chiuso occhio quella notte. Alle quattro aveva deciso di smetterla di fingere che andasse tutto bene e si era rotolata nel letto verso di me portandosi dietro le coperte e mi aveva detto: "Manca poco. Iniziamo a prepararci".
Alcuni minuti dopo ci eravamo trovati sdraiati a pochi metri da dove le onde finivano di allungarsi. Lei aveva appoggiato la testa sul mio petto; era una cosa che non avrei mai sopportato se fosse stata fatta da chiunque altro, ma Eveline era diversa. Avevo sempre accettato anche le cose che non mi andavano di lei. Perché qualche anno prima ci eravamo fatti una promessa, più grande di ogni singola cosa di lei che io ritenevo fuori posto, piccola o grande che fosse.
Lei mi aveva detto: "Me lo prometti?" e io le avevo risposto di sì. Cos'altro avrei potuto risponderle? Poi lo avevo chiesto io di promettere, e anche lei aveva risposto così.
L'avevo guardata e le avevo domandato preoccupato: "E' per sempre?"
"Certo che è per sempre. O è per sempre o non è. Non trovi?" aveva detto lei.
"Con le promesse funziona così. Quelle sincere e pronunciate con un filo di voce sono come un'eco di un bisbiglio nel cuore di un uomo. Un'eco che porta con sé la parola 'sempre', dalla quale forse nemmeno la morte lo può separare" aveva aggiunto.
Questo mi stupiva di lei: parlava poco, o almeno il giusto, ma quando lo faceva le sue frasi erano sempre così lapidarie che nulla avrebbe potuto cancellarle dalla mia memoria. Ma non era solo questo. Quando uscivano dalla sua bocca sembravano essere così naturali, come se qualcuno tempo addietro le avesse scritte sulle sue labbra screpolate, che lei le pronunciava con un filo di voce, senza nessuno sforzo. Come se niente fosse, e invece erano praticamente tutto.

Ed ora eravamo distesi sulla spiaggia. La sera prima avevamo avuto una discussione che era sfociata in una rabbia feroce. Ci eravamo infilati nel letto senza nemmeno metterci d'accordo su chi dovesse spegnere la luce. Siamo due orgogliosi. La luce è stata accesa per tre ore, ma non ci infastidiva. Ci pesava molto di più quel metro di letto che ci divideva e che eravamo stati noi stessi ad aver scavato. E' così quando si è orgogliosi: si scava la buca, ci si lamenta della terra fuori posto e si passa il tempo a guardarci dentro.
Ero assorto nei miei pensieri quando Eve si era alzata per spegnere la luce.

Ora eravamo distesi sulla spiaggia.
Lei sempre appoggiata e io sempre assorto.
Era chiaro che la spiaggia fosse solo per noi, erano le quattro passate.
Le quattro di notte. O le quattro di mattina.
Era per questo che eravamo sulla spiaggia; per decidere se quella fosse ancora parte del buio o se invece fosse già cosa del giorno.
Eve muoveva i piedi nella sabbia, alzando, quasi ciclicamente, il destro carico di granelli aggrappati alla sua pelle morbida e chiara.
Mancava poco, ma Eve era troppo concentrata ad ascoltare il mio cuore scandire il tempo.
Mancava poco, non si poteva più indugiare.
C'è un momento che non so bene da dove provenga di preciso e a chi appartenga insomma. E' un attimo così veloce che solo i cuori e gli occhi attenti riescono a cogliere.
Se si guarda bene verso l'oceano, dove sembra che tutto finisca, dove le barche vengono inghiottite e la vista si sforza ma non riesce ad andare oltre, esiste un tempo che non appartiene né alla notte né al giorno. Quel momento in cui il buio si fa da parte e la luce tarda a prevalere.
Fu proprio un attimo. Più veloce di un soffio o di un sospiro. Ancora più di uno sparo o di un pensiero. Però io lo vidi per davvero e nessuno poteva affermare il contrario.
"Eve" dissi con un filo di voce.
Continuava a giocare con la sabbia e non diceva nulla.
"Lo hai visto anche tu Eveline?"
Non mi rispondeva.
Siamo rimasti in silenzio qualche minuto e poi lei ha abbozzato un sorriso, come se fosse una prova, come se stesse disegnando la bozza con la matita.
Mi sembra di ricordare che disse più o meno questo: "Noi siamo così. Siamo  esattamente come quel punto che sta tra la notte e il giorno. Se lo spartiscono il buio e la luce, ma nessuno può dire con certezza ' è solo mio'. Siamo così se ci pensi bene. Poche ore fa a letto, nonostante l'abat-jour fosse accesa, eravamo entrambi della notte.
Possiamo essere divisi alle volte, ti potrà sempre dar fastidio che io appoggi la testa sul tuo petto e potrai non sopportare il fatto che io non sappia cucinare, ma non sarà questo l'importante.
Quando sorridi siamo del giorno, eccome se lo siamo.
Ma nessuno potrà mai dire 'loro sono solo del giorno o solo della notte'. Nessuno. Perché saremo sempre un po' in mezzo tra questi due. Sai cosa invece ci fa essere quel momento? Quell'attimo che non è di nessuno se non di chi l'ha creato? Quella promessa.
Quella promessa che tu hai fatto a me e che io ho fatto a te qualche anno fa.
Vuoi sapere perché sorridevo prima?
Perché stavo ascoltando il rumore delle onde, quando si infrangono e poi cambiano idea e fuggono con la coda tra le gambe. Stavo ascoltando e mi sembrava ci fossero solo loro.
Poi ci ha raggiunti un'eco che portava sulle spalle la parola 'sempre'. Noi siamo così".
Non le ho risposto. Cosa diavolo avrei dovuto risponderle? Aveva lo strano dono di zittirmi senza dirmelo.
Le ho dato un bacio in fronte e ci siamo incamminati verso casa, con la tremenda voglia di dormire, inseguiti da una promessa.


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