domenica 4 settembre 2016

Quel che sarà, sarà di me la strage


Mi metto in ascolto
sull'imbrunir del giorno
ripenso a ciò che è stato
nato, morto, rinato.
Quel che sarà
sarà per me la strage 
di mille giorni
attesi
ad aspettar che vita
venisse incontro.

Ciò che sarà di me 
domani all'alba 
sarà di me l'attesa
di quei giorni
che parean gettati
nell'orrido braccio
che i più chiaman nulla.

Rimango
 con l'orecchio teso
al sussurrar del mondo 
e al parlar delle sue pene
dei suoi dolori e voci mozzate,

Quel che sarà
dei resti di questi giorni
di bella e giovine estate
sarà per me 
ciò che voi poeti,
ch'io attendea,
vita chiamate




venerdì 8 luglio 2016

Volti di vita quotidiana

Non vi è nessuna gloria in ciò che vi sto per presentare e nemmeno eventi di un coraggio antico. Semmai è un ardore del presente, di una vita quotidiana affrontata con dignità. Presentata da loro stessi, dagli stessi uomini che la vivono, che ogni giorno vi combattono; perché sì, che se ne dica, la vita è una guerra. Anzi, credo di poter affermare che sia indubbiamente la più atroce delle guerre. Infatti quando si scende in campo per combattere si lotta per la vita, non per altro.
In ogni caso sentirete parlare loro. Sentirete dei volti che prendono forma. Non vi sarà nessuna azione straordinaria perché di queste sono piene i libri, ma al centro vi  saranno vite comuni che mostrano con chiarezza che è possibile la straordinarietà nel quotidiano; che è possibile combattere una guerra senza armi e sudando ugualmente sangue.
Scoprirete cosa nobilita l'uomo e cosa lo ha nobilitato. I volti di ogni genere perché il mondo è vario e pieno di misteri. O potremmo invece affermare che il mistero sia solamente uno : cosa si nasconde dietro un volto vivo? E cosa lo anima?
La risposta a tale domanda cela dietro di se la risposta a qualsiasi altra obiezione. Non ridete, vi prego. Non è presunzione.  Ascoltate le storie dei nostri personaggi e in seguito potrete criticare e farne le vostre considerazioni.
Prima delle conseguenze però dovrà avvenire ciò con cui da sempre incomincia la vita: un' incontro.
Avverrà alla vecchia maniera, come si faceva una volta, per l'appunto.
Leggerete delle storie che si presenteranno come delle mani tese, come avveniva un tempo, quando ancora le persone tendevano la mano e dicevano  chi erano, qual era il loro passato e quali i loro desideri. Tutto questa in una mano tesa.




Joshua Wheat

Ho lavorato per tutta la mia vita nel campo di mio padre. Alla sua morte mi disse che dovevo continuare il lavoro che avevamo iniziato insieme. Mi disse inoltre che aveva comprato quel campo tempo addietro perché vi si nascondeva una grande ricchezza.
Ho coltivato ogni giorno la terra di quel campo e l'acqua con cui lo ho innaffiato molto spesso era l'acqua che non bevevo io. Ho avuto annate buone e annate terribili. Ciò che mi ha spinto a non cambiare mai vita era la promessa di mio padre riguardo alla ricchezza di quel  campo che non veniva mai.
Ho desiderato sempre più di quanto  avessi. Quando l'annata era cattiva ho voluto che fosse migliore, quando invece dal cielo cadeva la pioggia ne volevo di più, ma che non fosse grandine.
Ho lavorato per più di mezzo secolo un campo di cui ho conosciuto ogni erbaccia e ogni imprecisione, ogni dislivello  e tutte le zolle.
E' un campo che ho maledetto e che ho baciato.
E' una terra che ha conosciuto l'odore del mio sudore e il colore del mio sangue; ha visto la mia fatica e ha gioito dei miei successi.
Ho desiderato fino all'ultimo giorno di vita quella ricchezza di cui parlava mio padre, che tardava a venire.
Sono morto felice, in cucina. Come si conviene ad uno scapolo. Non ne ho fatto scene atroci. Sono morto come si muore di norma, smettendo di respirare. Ero felice perché mi guardavo le mani e mentre morivo ho capito che la ricchezza l'avevo sempre avuta ben stretta e vicina a me.
Avevo le mani piene di terra e sbucciavo una cipolla.
Del frutti del campo sono vissuto e delle sue miserie sono morto. Dalla sua ricchezza sono rinato.



Henry Flynn

Ho guardato  a lungo verso l'orizzonte, senza mai scorgerne la fine. Ho custodito il faro.
Sono stato  la speranza di molti  marinai, la salvezza di molte mogli.
Il  guardiano del faro, che a questo ha dato la sua vita.
Sono morto al buio, ma era pieno di luce il mio cuore.
Illuminava la  costa e la mia nave attraccava al porto.
Era buia la stanza, ma vedevo solo la luce del mio faro.



Leonard Dubois


Sono stato lo  zimbello dei pittori di Parigi.
Sono stato  deriso  e sbeffeggiato,  io  che ho alle mie spalle avevo un migliaio di quadri di qualità incredibile. Mi accusavano di  non averne venduto nemmeno uno e di non aver nemmeno mai dipinto.
Se con dipingere intendevano mettersi lì con la tela, i pennelli e il resto non avevano tutti i torti; non avevo mai avuto la briga di fare tutto  questo. Avevo una collezione di quadri prodotti dalla mia immaginazione, rifiniti nei minimi dettagli.
Prima di morire mi si avvicinò una donna che dall'aspetto si intuiva non mancasse di soldi e buona famiglia, probabilmente dell'alta borghesia Parigina.
Mi si avvicinò e mi disse che comprava tutti i miei dipinti, dal primo all'ultimo.
Mi diceva così "Faccia uno sforzo di memoria, la prego signor Dubois, dal primo che ha immaginato!".

mercoledì 15 giugno 2016

Sei una canzone non ancora scritta


E i tuoi figli sembrano dei disegni
i nostri figli intendo
ma non nascono
e le tue mani rovinate
hanno lavorato, si vede.

Il tuo cuore è ferito come sulla croce
ma perché?
le tue lacrime sono salate
tu che conosci il mare

la tua voce
non ha voce
il tuo odore mi arriva incontro
e poi sparisce.
Sei una canzone non ancora scritta.

Ti cerco
Dio mio se lo faccio,
ma dove sei?

mi aspetti nel campo di grano
al fianco della ragnatela nel fienile.
Mi aspetti
Ma dove?

Volto senza volto
ricordo senza passato.
Che sia una donna
che sia carne.

Sia ossimoro!
e che sia dolore.
Che sia una vasca
da cui si esce asciutti.

Dove sei?
Le tue coordinate:
trenta gradi a sud-est della mia solitudine
e poi non ricordo.

Un libro
non ancora partorito.

Una di quelle ragazze
che sul treno sono eterne,
ma muoiono nel letto.
Muoiono nude
a poco lo hanno venduto
quel per cui pensavano di valere.
Ma tu non sei
così
no
sei eterna e non lasci traccia.

Ma dove sei ?
Quando nasci?

giovedì 2 giugno 2016

Diario di un perdente

"La questione è la felicità. E' lei che domina questa vita così strana, a tratti così reale che non la si potrebbe immaginare diversa. E' una sera fresca, di quelle che esci e non chiudi la porta dietro di te. Ti rinfresca le ossa e le luci sono tutte così giuste. Mi sembra quasi di sentire l'odore salmastro, ma non c'è mare qui. Alle volte lo porto io il mare in città. Lascio cadere qualche granello  di sabbia dalla tasca senza farmi vedere. E un giorno, lo so, saremo tutti sdraiati tra macchine e ombrelloni. E faccio lo  stesso con la città, me ne porto sempre un po' dietro quando vado a trovare quel tizio di cui ti parlavo, quello  che ho conosciuto di fianco alla biblioteca mentre rubavo un libro. 
In ogni caso è una di quelle sere di cui ci si dimenticano i particolari, ma ci si ricorda che era tutto giusto. 
Mi chiedi dei miei affari. Una grande nebbia  avvolge la mia vita e faccio fatica a produrre; per un giovane aspirante artista come me è una maledizione. Per di più in una città a cui sono sconosciuto. O meglio, io l'ho conosciuta per bene, ma i suoi abitanti mi sono indifferenti. Nomino le cose e le persone perché non le conosco, loro non sanno nemmeno che io esista. Ogni volta che varco la porta del mio condominio mi sembra di agire nell'ombra. Effettivamente sono l'ombra di questa città, ho perso quasi tutto  quel che ritenevo mio. Non intendo le cose, mi riferisco alle espressioni che avevo prima che succedesse quel fatto che tu ben sai e di cui abbiamo ampiamente discusso per via epistolare.
A proposito, ti tengo sempre nel cuore e nei miei passi, e il tempo che dedico a te è molto più di quello che impiego a buttare giù qualche parola sulla carta. Ti conservo tra le lettere, come le foto. Ma tu non sbiadisci. Ho fatto male i calcoli e non riuscirò a tornare per i prossimi mesi. Il costo del biglietto è superiore a quanto credevo e i soldi scarseggiano. Scrivo sempre per qualcuno, ma mi sembra di guadagnare solamente un po' di vita in più. Dei soldi nessuna traccia. Prendo i lavori che ci sono, anche i più umili, non avrei mai pensato di arrivare a tanto. 
Ti dicevo della  felicità. Maledetta.  La vedo negli altri e non la faccio mai mia; a volte provo a trattenerla, ma finisco ogni sera con le mani nei capelli a cercare di darmi delle risposte. I vicini si lamentano di continuo. Durante l'ultima riunione condominiale erano tutti d'accordo che la situazione sia ormai insostenibile, dicono che piango troppo forte. "Si contenga!" dicono così. Dicono così.  Mai nessuno che ti chieda delle tue lacrime, mai nessuno che ti dica "Diamine! Ma non riesce a piangere più forte?". Non cerco la compassione, spero si capisca ciò che intendo.
Dovrei lavorare per una rivista settimanale che si occupa di ricercare nuovi talenti nel campo della poesia, ma la metà sono idioti,e l'altra scrive così bene che l'invidia ogni volta mi convince a non comunicarne gli elaborati. 
In un certo qual senso continuo ad aggiornare il mio "Diario di un perdente", ho un sacco di nuovi spunti ogni giorno. 
La felicità. Prende quelli che la intravedono e richiama i perdenti come me. Brutta faccenda questa. Non trovi che sia una bella questione da sottoporre alla tua guida spirituale? Farebbe una gran fatica a risponderti credo. Mi fa male tirarti dentro a questo vortice di fallimenti, mi fa male per davvero, ma è come se la città fosse alle volte travolta da ondate di malinconia che rende tutto  più invivibile, specialmente i luoghi in cui ho riso e goduto della poca vita che avevo con me. Io sono sempre in prima linea quando l'onda arriva. Mi dico che è questione di posizione, infatti ho cambiato casa un paio di volte, ma non era quella la questione. Mi segue in città e poi arriva anche dalle sponde dell'oceano. Mi sento circondato, mi fa paura. Cerco di far diventare la città oceano con un po' di sabbia, e trasformare il mare in abitazioni stabili gettando qualche calcinaccio, giusto per confondere l'idea alle onde, ma sono solo in questa impresa titanica. Mi hanno abbandonato tutti e temo che il mio progetto non sarà realizzato prima della mia morte. Non farò in tempo a vedere il mio piano finito, ti rendi conto che delusione? E dire che mi sono impegnato così tanto. 
Non voglio trascinarti con me, lo giuro. 
Questa sera esco. Non so se sia la scelta migliore, ma la questione è che non ho scelta. Stamane i condomini mi hanno detto che entro domani avrei dovuto lasciare la mia casa. Lo accetto.  E' normale che si voglia stare un po' tranquilli, trovo sia lecito.
Mi sono detto che è meglio lasciare la città di sera, quando si veste per uscire anche lei. Di sera, quando la città è ancora viva e le luci sono giuste. Non credo di aver fatto male i calcoli, già mi vedo passeggiare tra le vie umide e strette, con l'irrequietezza di chi lascia qualcosa che non ha mai compreso. Non dico che faccia male, però  sicuramente non è piacevole. Questo è il diario di un perdente. Sono io. Mi chiedono : "Tu cosa fai nella vita?"
"Perdo"
"Ah sì? (Chissà perché poi sono sempre tutti così stupiti, vorrei sapere se loro hanno sempre successo). Perdi cosa?"
Tutti che si ostinano ad accodare a quel verbo un maledetto sostantivo! Io perdo e basta, d'accordo?
Deludente? Sì, lo so. E' davvero deludente. 
Questa sera esco. Mi vedo già. Perso per le strade. Perso fra la gente. Perso per la  città dalle mille luci fioche.
Diario di un perdente. O forse diario di un perduto? No, perdente credo vada meglio. E' più attuale.
Mi vedo già con le mani nelle tasche. In una un po' di mare e nell'altra qualche pezzo di città."

domenica 29 maggio 2016

Sophie

A Sophie piace Parigi. Mi correggo, Sophie ama Parigi, ma non è francese.
No, Sophie ha tutta l' aria di essere una ragazza di Kansas City, ma chissà da dove diavolo viene.
Sophie chiede di andare via, in continuazione. Io ci provo a starle dietro.
Viaggiamo solo con il sole, quando fa caldo. Mi piace guardarla con la luce. Inizia a darle fastidio e io rido, si vedesse quanto è bella.
Dorme. La notte dorme e io faccio il possibile in modo che lei vada avanti a tenere gli occhi chiusi. Scrivo poesie al buio e lei nemmeno lo sa. Tedesco, francese, spagnolo, portoghese, italiano, inglese fa lo stesso. No? Devo dirle che sarà immortale, che importanza ha che lingua uso?
Non lo sa che scrivo. Perché dovrebbe?
Un giorno quando mi dirà che vorrà dormire da sola, senza compagnia, le darò le poesie e tutte le parole che ho scritto e le dirò "Mentre dormivi.."
Secondo me non sarà stupita, Sophie per queste cose non ci resta secca come le altre. Sophie è diversa. E' curiosa e non lo dà a vedere.
Cammina come se qualcuno la stesse rincorrendo, forse il tempo, forse gli sguardi attenti della gente.
Perché a lei alla fine questa vita piace. Potrebbe anche non esserci la poesia ecco, forse nemmeno il teatro, il cinema, addirittura la musica, e a lei la vita piacerebbe lo stesso. Ma alla fine la poesia esiste se c'è la vita, è una conseguenza. E' quasi matematica la questione.
Va in giro con un cappello che le nasconde le parti del viso che vanno immaginate, lei segue sempre la regola secondo la quale l'ignoto è sempre e comunque più affascinante del già visto e già sentito.
Alle volte se ne esce con domande strane e ti chiedi se stia bene o se stia recitando. Ma la verità è che Sophie è una vita che recita. E' anche una vita che non sta bene. Ma udite udite l'ossimoro: lei se la spassa quando si accorge di recitare e di non stare troppo bene. Com'era per Shakespeare? Ah sì ecco, tutto il mondo come un grande palco e noi.. sì, già, noi dei grandi attori.
Niente male Sophie. Alle volte recita così bene che persino io finisco per crederle e darle retta.
In tram e in treno non si vuole mai sedere, al contrario, io devo sempre stare attento che non scenda perché non si sa mai. Alle volte mi dico che un giorno in cui sarò un po' distratto la perderò per sempre. Sarebbe sicuramente strano non rincorrerla più; non saprei a che fermata scendere.
Mentre cammina dice sempre che qualcuno dovrebbe scrivere una canzone per lei, oppure che dovrebbero fare un film sulla sua vita. Che vorrebbe vedersi camminare per strada intendo. Io non le dico niente delle poesie, perché con le canzoni e i film è diverso. Bisogna fermarsi e stare in silenzio. E poi le poesie non sono così immediate; si pensa di averle dimenticate, ma poi tornano come le stagioni. Uno non se lo aspetta e si trova in bocca delle parole che non sa proprio da dove provengano.
L'altra notte si è sdraiata sul letto più stanca del solito.
Mi sono seduto di fianco al suo corpo, senza far rumore, con la penna e una pila di fogli.
Ho scritto solamente "Sophie" e mi chiedevo cosa facesse rima con quel nome. Cosa facesse rima con quel corpo stanco. Con quelle sei lettere che facevano tanto pensare.
Che diavolo serve scrivere delle poesie mentre lei dorme, mi chiedevo. Cosa caspita serve?
Forse a costruire dei ponti. Forse a dipingere quando non si hanno i colori, a suonare qualche nota quando non hai lo strumento. A costruire ponti insomma.
- Domani a Parigi? - sussurra in dormiveglia.
- Domani a Parigi Sophie, domani a Parigi -

Scrivo sul foglio:
Sophie
Parigi

Magari in un altro mondo. Magari in un altro mondo la rima c'è.

giovedì 26 maggio 2016

L' oceano nella mia stanza


Forse sei tu che mi vieni a trovare, forse nemmeno lo so chi sei. So che quando arrivi così senza avvisare mi prende una grande nostalgia, che se sapessi nuotare inizierei a farlo. Nuoterei. Come fai tu, che negli occhi hai sempre le navi, negli occhi hai dipinto l'oceano. Perché ferma non riesci davvero a stare. 

Sei tu questa. Ha lavorato la mia memoria per ripristinare anche solo qualche particolare raccolto in passato che sembra lontano, il resto l'ho lasciato alla mia fantasia; però sei tu, che mi vieni a trovare. Sei tu. Con quel sorriso di malinconia e io ti dico "torna", ma non è tempo. E tu sei già in viaggio.
Sei tu. Sei tu quando parti.



- Mi dica, dove va? -

- Vado -

- Su questo nessun dubbio signorina, ma parte o ritorna? -

- ... Parto -

- Ne è sicura? - 

- Ritorno. -

- Si decida, parte o ritorna? -

- Entrambe. E' sempre così difficile scegliere. Quando si parte si lascia tutto, quando si ritorna ci si lascia alle spalle il resto. -

- E lei ha scelto per il tutto o per il resto? -

- Se ci fosse la possibilità di un via di mezzo io avrei scelto quella. Se si potesse partire e tornare insieme. Invece no, qualcosa si perde sempre -

- Mi dica, cosa ha paura di perdere? - 

Silenzio

- Non lo sa? Non sa cosa non vorrebbe perdere?

Silenzio 

- Il tutto. Il resto. La vita. Ho paura di perdere questo. In ordine ho paura di perdere: il tutto, il resto e la vita. -

- Capisco -

- No-

- Cosa no? -

- No, lei mi dispiace ma non capisce. Non può capire. -

- E perché mai non dovrei  capire? -

- Perché lei non ha gli occhi -

Ride

- Gli occhi? Questa è davvero bella. Venti anni di onorato servizio e una cosa così non l'avevo mai sentita! -

- Parlo degli occhi veri. Quelli con cui si guarda il mondo, il mondo in maniera sempre nuova. Gli occhi che fanno innamorare le persone. Gli occhi a cui pensa lei, a cui pensano tutti, alla lunga stancano. Ma questi occhi, di cui le parlo io, sono eterni. Fanno un male tremendo, come una spina o una ferita sempre aperta, ma sono veri. -

Lei li aveva, è per quello che ne poteva parlare.

Se ne era andata. Non si sapeva bene se fosse partita o tornata, ma era di nuovo in viaggio.
Faceva male pensarla in viaggio, ma che bene al cuore che faceva invece pensare a quegli occhi.

Aveva lasciato un biglietto che diceva all'incirca così: 


"Se le chiedono se sono viva, lei non dica nulla. Lei faccia finta di niente, come se niente fosse. La prego. Se le dovessero domandare dove mi trovo, lei risponda che non c'è posto per me, non c'è posto alcuno; dica loro che nemmeno le ceneri mi vogliono, che il mare non mi inghiotte e la terra non mi vuole masticare. Non c'è morte per me, non c'è riposo, non c'è un bosco dove mi senta al sicuro. Sono in eterna partenza e costante ritorno; sono la nuvola che vola sopra la testa delle persone per bene. 
Di notte tengo sveglie le persone delle mie spiagge e di giorno distribuisco speranze che annegano nel mare ( è questione di fuso orario)."

martedì 3 maggio 2016

7 di Aprile

Tra cinque ore sarebbe successo qualcosa. Cinque ore, non un minuto in più, non un minuto di meno.
Lo sentiva. E se non fosse successo qualcosa lo avrebbe fatto accadere lui.
Era salito un caldo insopportabile nella stanza dell'albergo in cui da qualche giorno dormiva. Gli capitava di guardare quegli oggetti, quel letto, che vedeva da poche ore, come se da sempre gli appartenessero. Non capita forse anche a voi? Non vi capita di impossessarvi degli oggetti nuovi alla vista, delle frasi pronunciate per sbaglio, degli errori commessi con senno e portare tutto questo nel vostro cuore estraendolo all'occorrenza in tempi meni sospetti e forse lontani? Sono sicuro capiti anche a voi. Gli capitava frequentemente. D'altra parte si era abituato a viaggiare e a spostarsi da un posto ad un altro da quando la moglie non era più tornata a casa quel 7 Aprile, che Dio lo elimini dai giorni in cui l'umanità si è svegliata! Che Dio si dimentichi di quel 7 Aprile così insipido, così maledetto. L'aveva cercata ovunque: aveva guardato in cucina, poi in dispensa, in soggiorno e con passo più celere e cuore affrettato nell'attico; si era fermato a riflettere e il sette Aprile avrebbe dovuto essere uno di quei giorni in cui sua moglie finiva presto di lavorare. Che si fosse fermata a comprare qualcosa? L'aveva aspettata qualche ora, ma niente. Se ne era andata. Nemmeno un biglietto? Neppure una riga, neanche un saluto. E poi si sente dire che non esiste più la cavalleria. Sarà anche vero, ma non si lascia una persona così. Soprattutto un uomo. Le donne sanno soffrire, ci sono abituate, ma gli uomini sono una frana in queste cose. Non si fa così, sarebbe bastata una riga "Ciao me ne vado, non sono andata a fare la spesa". Ecco, così sarebbe stato lecito. Invece l'aveva aspettata qualche ora e poi aveva ricominciato a cercarla, magari non aveva controllato bene. No. Aveva guardato con attenzione invece.
Aveva appoggiato la testa fra le mani. Aveva pianto. Poi le mani le aveva messe sul volante della macchina e non si era più fermato. Era come se gli avessero tolto la terra da sotto i piedi. Non una terra qualsiasi, la sua terra. Sua moglie aveva portato via lo spazzolino, il dentifricio, una borsa, qualche vestito e la sua terra. Fa male quando ti portano via la strada su cui dovresti camminare, la strada su cui sei stato abituato a camminare. Perché a cinquant'anni non ti ci abitui più. Hai imparato a vivere con una donna ed è troppo tardi per abituarsi ad altri occhi, a braccia diverse. Il profumo. Vogliamo parlare del profumo? Alle volte gli sembrava di sentirlo in giro, ma era come un lampo che subito scompariva lasciando non solo l'odore delle cose grigie e comuni, ma anche una tristezza abissale, più profonda dell'odio e del mare.
Gli aveva portato via tutta la terra e lui aveva provato ad abituarcisi, ma cinquant'anni sono troppi. A diciannove si fa ancora in tempo sì, ma a cinquanta no. E' metà di un secolo vi rendete conto? E' un'assurdità. Sono troppi cinquant'anni per abituarsi.
Era salito un caldo tremendo nella sua stanza e si era sbottonato la camicia. Era sceso e aveva consegnato le chiavi a chi di dovere. Si era infilato in uno di quei locali di cui ci si fida già dall'insegna. Fuori era scritto così "Un drink  gratis per ogni delusione amorosa o di qualsivoglia genere". 
Sapeva già entrando che non sarebbe uscito con le sue gambe da quel posto.
Dopo la decima delusione aveva iniziato a urlare e dare fastidio, e lo avevano sbattuto fuori.
Aveva provato a rientrare sostenendo che avesse ancora qualche migliaia di delusioni da smaltire, ma lo avevano avvertito che se avesse continuato avrebbero chiamato la polizia.
Se ne era andato, non era mai  stato un tipo coraggioso.
Voleva solo la sua terra, voleva il suo dannato letto e la sua casa. E magari una riga con scritto "Sono tornata, ho fatto la spesa. Ti amo."
Al diavolo. L'unica cosa che gli era rimasta era la puzza di fumo che si attacca ai vestiti, alla pelle e alla gola. La puzza di fumo se ne va quando merda vuole lei. Aveva persino finito le sigarette, che vita spietata.
Sarà stato per eccesso di delusioni , per la  terra scomparsa o per la moglie o forse per il caldo che si  era mescolato all'alcool nelle sue vene, ma morì sul letto della sua stanza il 7 Aprile di quello  stesso anno. Morì da solo, come muoiono tutti in questo mondo.
Ma la sua  rivincita se la era presa. Sul cuscino un biglietto che diceva così: "Che Dio ci scampi da giorni come il 7 Aprile. Che Dio se lo dimentichi questo maledettissimo giorno."
P.s  Al diavolo la tua spesa.