mercoledì 30 marzo 2016

Vite di Praga

Ho toccato il fondo.
Con l'occhio, ho toccato il fondo della bottiglia. Alle volte bevo così velocemente da non accorgermi nemmeno che me la sono gustata. L'occhio fissa il fondo. Pare che lo tocchi, che mi chieda "Dove diavolo ti stai cacciando? Da cosa fuggi?".
Non c'è osteria di Praga che non abbia conosciuto il mio nome e la sera gli ubriaconi da quattro soldi, ma persino quelli che lo fanno di mestiere, mi invocano come in Chiesa si invocano i santi protettori.
Guardo il fondo e mi chiedo come ci sono arrivato. Ho fatto male? Non lo so, so solo che è successo.
Ho combattuto nella mia vita. Con il fucile e anche senza. Davvero ho combattuto, sempre in prima linea. Questo me lo concederete, anche voi che mi avete sempre incontrato al vostro bancone, quando ordinavo il settimo litro di birra della serata. 
Ma poi capita. Come la guerra. Come quando si raccoglie un fiore. Come quando qualcosa cade.
Un giorno sei in pace e un attimo dopo non lo sei più. Se ci  fate caso è la stesso di quando un mucchio di persone stanno parlando amabilmente e di colpo tutto si blocca. Tutti immobili per un attimo, nessuno che faccia un verso. Capita così nella vita. 
Ho toccato il fondo e si è bloccata ogni cosa intorno a me. Mi sono fermato pure io a dire il vero. Dopo l'ennesima bottiglia sono tornato a casa e ho bruciato tutte le medaglie al valore e tutti i quadri, tutte le foto vecchie e nuove, tutti i mobili. Tutto. Ho toccato il fondo. La sera prima ridevo e cantavo con persone di cui nemmeno ricordo i volti. Ora canto sul fondo della bottiglia. Canto la mia disfatta e le mie imprese inutili. Non mi meriterei nemmeno la peggiore delle morti. Mi dovrei impiccare annegando nel fuoco, ma non sarebbe abbastanza. Lo so, non sarebbe mai abbastanza. Invocate pure il mio nome, bestie! All'inferno ci stringiamo e ci starete anche voi con me e gli altri.
Un giorno sei in prima linea e il giorno dopo ti trovi in prima linea con i codardi, ovvero in fondo, dove nessuno ti vede, ma tu puoi assistere. 
Una sera, sempre quella stessa sera in cui ho bruciato tutto, mi sono convinto. Mi sono detto una volta per tutte che non sono tutti tagliati per le rivoluzioni. Ad alcuni va bene così, va bene la vita che gli capita. Non tutti possono combattere ogni giorno. Non tutti ne hanno la forza. Ad alcuni basta alzarsi dal letto. 
Ho toccato il fondo. Non sono sempre stato così. C'era un tempo in cui mi piaceva l'odore dei campi appena tagliati, l'odore dell'estate che arriva senza avvisare nessuno. Si maschera con il volto della primavera e poi arriva. Come la guerra. Ti svegli ed è estate. Ti svegli e c'è la guerra. 
Ti svegli ed hai toccato il fondo, magari è persino estate. Magari sei persino in guerra.
No. Mi sono ripetuto mille volte ogni giorno che non avevo abbastanza forza. C'è chi nasce tagliato per quello, mi dicevo, e io non sono uno tra questi. Io mi alzo dal letto e basta, vedo ciò che la vita mi toglie e mi dà.
Vi dirò un segreto. La mia vita è segnata, sento già il freddo della morte. Il gelo  di quando sai già che è tutto perduto e domani sarai con Satana a servirgli il pasto. Non vedo vie di uscite o miracoli possibili. Ma c'è qualcosa che dentro me si ribella, come un urlo antico. Un urlo  che rivendica tutta la giustizia, tutto ciò che io non potrò mai essere. Vorrei andare oltre il fondo. Dire che non è abbastanza. Lo sapete voi? Ho guardato tutti i fondi delle bottiglie, dei bicchieri e gli otri di questa città per vedere se sul fondo qualcuno ha lasciato la risposta. Perché grido e piango persino quando sono ubriaco?
L'altra sera barcollavo verso casa. Avevo bevuto più del solito e mi avevano cacciato via.
Gridavo per strada e dicevo a tutti che non è vero, che ho mentito  per moltissimo tempo a me stesso, è tutta una menzogna. Ognuno ha una rivoluzione dentro, ognuno deve combattere la sua guerra.
Non basta una bottiglia di vino, nemmeno due o tre. Non basta nemmeno alzarsi dal letto, ci vuole di più. Urlavo: " Cercate la risposta sotto il fondo dei bicchieri e bevete in fretta!".
Sono morto la mattina dopo. Avevo una bottiglia in mano e la tenevo stretta. Ero morto, ma la tenevo stretta sul fondo.

domenica 27 marzo 2016

Vite di Praga

Sono nato senza nome. Alcuni hanno la fortuna che i genitori trovino il tempo per pensare al loro nome, io non l'ho avuta. Non ne ho mai fatto un dramma. Certo, mi sarebbe piaciuto averne uno, questo certamente devo ammetterlo, però si può fare anche a meno. Alcuni nascono come numeri, con i numeri stampati sul viso, altri con il nome e io, invece, sono nato con la mia carne e basta. Con i miei due occhi e il mio mento e niente di più. Senza che nessuno mi chiamasse. Per numero o per nome, nessuno in questo maledetto mondo si è preso la briga di chiamarmi. 
Sto qua sul ponte. Mi faccio i fatti miei spesso, perché capita non di rado che mi stanchi di chiedere. Mi metto con le braccia conserte appoggiato al muretto e guardo il mio fiume. E' mio perché io per primo lo sveglio ogni mattina, ancora prima che lo faccia il sole. Lo chiamo per nome e lui vorrebbe dormire ogni volta qualche minuto di più, ma io insisto e lui riprende malvolentieri il suo corso. E sono sempre io, che il nome non ce l'ho, a pronunciare il suo e dirgli quando viene la notte che può riposare perché non c'è più nessuno in giro per la città.
Accidenti capisco l'impegno per il nome, ma almeno delle scarpe avrebbero potuto procurarmele! Qua fa davvero freddo e la gente gira coperta dal naso alle caviglie due stagioni su quattro; io giro con i piedi nudi, quattro stagioni su quattro, comprese le feste e i lutti. Io santifico i giorni e li maledico sempre a piedi nudi. 
A volte, quando è buio e rimango solo io, mi chiedo se siano più importanti le scarpe o il nome. Mi dico proprio: "Se ti facessero scegliere, tu cosa sceglieresti?". Non mi sono mai dato una risposta. Sarebbe bello avere entrambi, ma chi non ha niente riesce ad accontentarsi e dare valore persino a quel niente. 
Mangiare devo mangiare però. Mi inginocchio e chiedo. Molti, anzi quasi tutti, credo pensino che io mi metta lì solo per i soldi. Certo, sarei un bugiardo a dire che i soldi non importano a nulla. Ma ci sono sguardi, sempre più rari, che valgono più delle banconote che io non ho mai nemmeno toccato. Mi rimangono nella testa per delle giornate e poi scendono al cuore. E' sempre un piacere farli scendere al cuore, stanno lì per sempre e nulla li può turbare. 
E' davvero incredibile come ci si possa sentire soli anche, o forse soprattutto, quando si è circondati da moltissima gente. Mi sono sempre immaginato come un'isola. La fiumana di gente come una corrente contrastante, che mi sbatte di qua e di là. Alle volte dentro questo naufragio continuo intravedo quegli sguardi, spesso di persone distratte, che improvvisamente si riscoprono con tutte le loro paure, e io mi aggrappo a quelli. A quella umanità che alle volte straripa dagli occhi di uomini distratti che riscoprono la loro anima. Io, sulla mia isola, grido e cerco di farmi vedere. Ci sono stagioni che mi sento come un naufrago, di quelli che intravede le navi, ma non ha abbastanza voce e forza per fermarle.
Mi sono inginocchiato, per l'ultima volta. Il freddo e la solitudine mi hanno ucciso. Sono morto chiedendo. Non si è fermata nessuna nave quel giorno, nessuno ha fatto tappa sulla mia isola. Il fiume scorreva veloce e anche la gente andava di fretta. Ho urlato, ma mi era rimasto solamente un filo di voce. Sono morto e nessuno si ricorderà di me. Questi che non avranno mia memoria sono gli stessi che hanno sempre pensato, vedendomi, che io volessi del denaro. Sono sempre loro, sempre questi, che non hanno mai voluto capire nulla di me: io ero inginocchiato perché cercavo qualcuno che mi chiamasse per nome.  
Ho avuto tempo di pensare a come avrei voluto chiamarmi e non ho mai avuto il dono della sintesi. Ho capito mentre la morte mi abbracciava che non vi sarebbe stato spazio sulla lapide per il nome che mi ero scelto. I miei genitori erano stati saggi. Forse nemmeno loro erano così parsimoniosi con le parole.
Io sono l'isola della città, la sentinella del fiume e il guardiano del sole. Sono un cantastorie senza nome e senza storia. Ho due piedi infreddoliti, non ho le scarpe. Sono l'uomo dalle mille avventure che non vuole raccontarvele. Sono il narratore dalle labbra screpolate che grida ai margini della strada e non viene udito. 
Io sono il mendicante sconfitto. 
Sono il cittadino di Praga divorato dall'indifferenza. Sono morto elemosinando un nome.
Le mie lacrime le troverete nella Moldava. Per il fiume sono stato quello che il gallo è per il mattino. 
Ho raccolto ogni sguardo sincero, li conservo avidamente.
Piangi città di pietra. Le mie lacrime sono sul letto del fiume che ora non si vorrà più svegliare.
Sono morto senza nome, con il grido sulle labbra. 

martedì 1 marzo 2016

Preghiera [XVI]

Nasce e matura
il giorno mio,
sopra la casa solitaria.
Il gallo ha cantato.
Adempiuto il suo compito,
di nuovo adagiato,
ha passato assonato
il testimone del Mondo.
Nel mio giorno,
quando ogni cosa si sveglia,
si prega la vita;
Si implora la morte 
di tardare ancora,
di dormire un'altra notte.
Perché molte sono le cose
che ancora riposano nell'ombra,
nell'oblio più profondo
da riportare alla luce del sole.