domenica 27 marzo 2016

Vite di Praga

Sono nato senza nome. Alcuni hanno la fortuna che i genitori trovino il tempo per pensare al loro nome, io non l'ho avuta. Non ne ho mai fatto un dramma. Certo, mi sarebbe piaciuto averne uno, questo certamente devo ammetterlo, però si può fare anche a meno. Alcuni nascono come numeri, con i numeri stampati sul viso, altri con il nome e io, invece, sono nato con la mia carne e basta. Con i miei due occhi e il mio mento e niente di più. Senza che nessuno mi chiamasse. Per numero o per nome, nessuno in questo maledetto mondo si è preso la briga di chiamarmi. 
Sto qua sul ponte. Mi faccio i fatti miei spesso, perché capita non di rado che mi stanchi di chiedere. Mi metto con le braccia conserte appoggiato al muretto e guardo il mio fiume. E' mio perché io per primo lo sveglio ogni mattina, ancora prima che lo faccia il sole. Lo chiamo per nome e lui vorrebbe dormire ogni volta qualche minuto di più, ma io insisto e lui riprende malvolentieri il suo corso. E sono sempre io, che il nome non ce l'ho, a pronunciare il suo e dirgli quando viene la notte che può riposare perché non c'è più nessuno in giro per la città.
Accidenti capisco l'impegno per il nome, ma almeno delle scarpe avrebbero potuto procurarmele! Qua fa davvero freddo e la gente gira coperta dal naso alle caviglie due stagioni su quattro; io giro con i piedi nudi, quattro stagioni su quattro, comprese le feste e i lutti. Io santifico i giorni e li maledico sempre a piedi nudi. 
A volte, quando è buio e rimango solo io, mi chiedo se siano più importanti le scarpe o il nome. Mi dico proprio: "Se ti facessero scegliere, tu cosa sceglieresti?". Non mi sono mai dato una risposta. Sarebbe bello avere entrambi, ma chi non ha niente riesce ad accontentarsi e dare valore persino a quel niente. 
Mangiare devo mangiare però. Mi inginocchio e chiedo. Molti, anzi quasi tutti, credo pensino che io mi metta lì solo per i soldi. Certo, sarei un bugiardo a dire che i soldi non importano a nulla. Ma ci sono sguardi, sempre più rari, che valgono più delle banconote che io non ho mai nemmeno toccato. Mi rimangono nella testa per delle giornate e poi scendono al cuore. E' sempre un piacere farli scendere al cuore, stanno lì per sempre e nulla li può turbare. 
E' davvero incredibile come ci si possa sentire soli anche, o forse soprattutto, quando si è circondati da moltissima gente. Mi sono sempre immaginato come un'isola. La fiumana di gente come una corrente contrastante, che mi sbatte di qua e di là. Alle volte dentro questo naufragio continuo intravedo quegli sguardi, spesso di persone distratte, che improvvisamente si riscoprono con tutte le loro paure, e io mi aggrappo a quelli. A quella umanità che alle volte straripa dagli occhi di uomini distratti che riscoprono la loro anima. Io, sulla mia isola, grido e cerco di farmi vedere. Ci sono stagioni che mi sento come un naufrago, di quelli che intravede le navi, ma non ha abbastanza voce e forza per fermarle.
Mi sono inginocchiato, per l'ultima volta. Il freddo e la solitudine mi hanno ucciso. Sono morto chiedendo. Non si è fermata nessuna nave quel giorno, nessuno ha fatto tappa sulla mia isola. Il fiume scorreva veloce e anche la gente andava di fretta. Ho urlato, ma mi era rimasto solamente un filo di voce. Sono morto e nessuno si ricorderà di me. Questi che non avranno mia memoria sono gli stessi che hanno sempre pensato, vedendomi, che io volessi del denaro. Sono sempre loro, sempre questi, che non hanno mai voluto capire nulla di me: io ero inginocchiato perché cercavo qualcuno che mi chiamasse per nome.  
Ho avuto tempo di pensare a come avrei voluto chiamarmi e non ho mai avuto il dono della sintesi. Ho capito mentre la morte mi abbracciava che non vi sarebbe stato spazio sulla lapide per il nome che mi ero scelto. I miei genitori erano stati saggi. Forse nemmeno loro erano così parsimoniosi con le parole.
Io sono l'isola della città, la sentinella del fiume e il guardiano del sole. Sono un cantastorie senza nome e senza storia. Ho due piedi infreddoliti, non ho le scarpe. Sono l'uomo dalle mille avventure che non vuole raccontarvele. Sono il narratore dalle labbra screpolate che grida ai margini della strada e non viene udito. 
Io sono il mendicante sconfitto. 
Sono il cittadino di Praga divorato dall'indifferenza. Sono morto elemosinando un nome.
Le mie lacrime le troverete nella Moldava. Per il fiume sono stato quello che il gallo è per il mattino. 
Ho raccolto ogni sguardo sincero, li conservo avidamente.
Piangi città di pietra. Le mie lacrime sono sul letto del fiume che ora non si vorrà più svegliare.
Sono morto senza nome, con il grido sulle labbra. 

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