domenica 29 novembre 2015

Sono entrato in un locale. Suonavano jazz e non sono più uscito


 


Ho girato parecchie città e ho vagabondato per strade strette e grandi, affollate e senza un'anima.
Ho cercato un po' ovunque e sbirciato qua e là silenziosamente.
Non mi sono fatto notare da nessuno eppure ero sotto gli occhi di tutti.
Ho chiesto informazioni a volte. Anche se poi, maledetto, finisco sempre per fare di testa mia.
Pensate che una volta mi trovavo nel centro storico di quella meravigliosa città e stavo cercando un quadro. Mi avevano detto che si trovava esattamente in quell'edificio, ma non mi fidavo; non mi fido mai. Ho girato tutti i quartieri della zona per controllare che non si fossero sbagliati. Ho camminato tanto per poi accorgermi che l'unico che sbagliava ero proprio io. Sì, sono così. Però quando le cose sono vere io poi ci credo per sempre e non mi muovo più. Come quella sera.
Andiamo con ordine però.
Ero appena sceso da uno di quei treni che sai con certezza che parta, ma non sai affatto se si fermerà, perché non lo guida un uomo, ma gli animi dei passeggeri: chi muore dalla voglia di tornare a casa e riabbracciare qualche corpo caldo, chi sta fuggendo da qualcosa e, persino chi, come me, non sa nemmeno perché diavolo si trova su un treno.
Ero sceso e stavo già pensando che avrei dovuto trovare un posto in cui alloggiare la notte.
Per i vagabondi funziona così: quando il sole scende si inizia a pensare a dove si dovrà sognare quando tutti dormono, possibilmente al caldo.
Mentre muovevo il mio corpo stanco, tralasciando la postura corretta che si dovrebbe mantenere in presenza di estranei e di occhi vigili, mi guardavo intorno del tutto assente.
E poi apparve dal nulla un locale e decisi che avrei fatto sosta lì per schiarirmi le idee.
Li ricordo ancora quei gradini, quelli che conducevano verso l'ingresso e andavano verso il basso.
Ora io non so cosa pensiate voi della musica però io di una cosa sono sicuro: deve essere sincera. Come tutte le cose; quando non sono vere ci si mette un attimo a rendersene conto, che poi si ignori quanto dice il cuore, bè, questo è un altro paio di maniche.
E credete a me, quella notte ascoltai Dio che suonava il sax e mi diceva che per quella notte, per quelle poche ore e per molte altre ancora non avrei più dormito.
Perché il jazz è così, non sono previste delle norme, delle regole, non si deve essere alti, magri, belli, simpatici o che ne so io. Anzi, spesso chi sale sul palco e pretende di insegnare del jazz è brutto e obeso, ha il naso storto, è antipatico, beve un bicchiere di troppo e ha tanti di quei difetti che è inutile persino contarli. Puoi essere bianco, nero, giallo o anche viola se ti va di pitturarti la faccia, ma conta cosa dirai sul palco. Una volta ho visto un nero che non superava i sei piedi di altezza suonarle di santa ragione ad un mezzo gigante che si nascondeva perché appariva irriconoscibile a sé stesso prima che agli altri. Suonarle si intende le note ovviamente.
Ognuno nel jazz prende tutto quello che ha dentro e lo tira fuori, lo espone. Come quando si racconta una storia. E poi è naturale quanto pisciare. E' naturale quanto mangiare perché non puoi starne senza. Vi dirò di più: il jazz è ancora più naturale del mangiare perché un pezzo di pane ti basta per qualche ora, invece, quando le note iniziano a rincorrersi, non ti bastano più.
Ci sei tu e il tuo strumento, che nessuno capirà mai quanto possa valere perché sei proprio tu che hai raccontato tutte quelle storie. Le hai raccontate prima di tutto al sax o al piano, e poi loro ti hanno aiutato a buttarle fuori.

E' quasi impossibile dirvi cosa accadde quella sera perché per delle ore, che a me parvero evidentemente minuti, io ero stato catapultato in un altro mondo.
Mi risvegliai solo quando il proprietario del locale mi toccò dentro e mi disse con voce stanca: "Mi scusi signore, noi dovremmo chiudere".
"La musica" risposi io.
L'avete sentita quella musica? Non era umana diamine!
Il rischio c'è persino nelle cose non umane; di non riconoscerle intendo. Le cose belle, se non si afferma con certezza il motivo per cui sono belle, perdono anche esse la loro anima. E si finisce per darle per scontate.
Avevo la sigaretta in bocca e non l'avevo nemmeno fumata; l'avevo tenuta in bocca tutta la notte.
Uscendo dal locale l'ho accesa senza neanche rendermene conto.
Ero stato in un mondo che non sapevo nemmeno potesse esistere, come quando finisci un buon libro e vorresti dire all'autore che ne vorresti ancora un po', ancora un assaggio, ancora qualche stramaledetta pagina, anche banale; perché sei arrivato dove non credevi saresti mai potuto arrivare e ora non ti basta più nemmeno quel traguardo che poco prima era impensabile.

Ho ripreso il treno.
Nessun animo desideroso. Solo un treno, un conducente stanco del suo lavoro e mille e più volti simili a maschere.
Sono entrato in locali di svariato genere, tutti diversi tra loro.
E di nuovo ho viaggiato mordendomi la coda, come i cani, di città in città.
Perché non sono tanto diverso da loro, sono uno schifoso randagio.
Ho cercato qualcosa nelle maschere.
Ho implorato per un po' di desiderio, ma nemmeno le puttane sembrano più averlo. Almeno una volta facevano il loro mestiere con passione.
Nemmeno la passione trovo più.
Giro le piazze e mi perdo tra le vie; sbaglio strada. Allora chiedo indicazioni, tanto faccio ugualmente di testa mia.
Sbaglio di nuovo.
"Cerco la musica! Qualche indicazione precisa?"
No, nessuno ne sa nulla.
Mi fido allora solo di me stesso e faccio bene. Sapete perché?
Perché ora ho capito. Perché quando nessuno mi vede io ci ritorno. Ogni sera lascio passare tutti i treni che accolgono solo le maschere e salto su, sul treno senza conducente. Entro nel mio locale, tiro fuori dal pacchetto una sigaretta e non la fumo. La metto in bocca, ma non la fumo; ho di meglio da fare. 
Ascolto suonare Dio per qualche ora e poi aspetto che qualcuno mi dica che è ora di andare.
Perché anche Dio, ogni tanto, ha bisogno di riposo.
Perché anche il locale di Dio ad una certa ora chiude, ma riapre il giorno seguente.
Stessa ora.
Medesimo posto.
Identico treno.
Sempre con la mia musica, quel jazz con cui non riesco ad addormentarmi.

mercoledì 25 novembre 2015

Raccolta di parole nè calde nè fredde, ossia autunnali.

Della notte conosci i sussurri 
Distingui il mio odore 
Scacci la nebbia che sulla terra e sul cielo allunga le braccia 
Fai tuo il mistero e il dolore 
dell'uomo ferito che accogli in seno.
Muori e risorgi ogni notte,
Perché la notte chiede di più. 
Perché è l'unica che ci chiede la morte e la vita 
Prende quel pezzo di cuore 
Dove tu hai nascosto la mia parte di Luna 

Dove ho nascosto l'istante in cui ho visto i tuoi occhi 

Dormi che io sogno ancora per qualche ora